Intellectual Property & Artificial Intelligence. Fabio Ricciardiello ed il suo ultimo progetto riflettono sull’interazione tra i due universi, addentrandosi nella quaestio del diritto d’autore.


In occasione della giornata mondiale della Proprietà Intellettuale, celebrata lo scorso 26 Aprile, lo studio Jaumann ha chiesto ad Azzurra Immediato di analizzare la questione attraverso il mio progetto “Intellectual Property”. Buona lettura.

La tecnologia antropocentrica cui l’uomo e la scienza si sono avvicinati e con cui tentano di stabilire un contatto a favore del primo, continua a destare sospetto ma, soprattutto, ad esser percepita come una sfida, dalle variabili intricate ed affatto chiare a i più. Michael Dertouzos – direttore del MIT sino alla sua scomparsa – nel 2001 ci ha lasciati con un’ultima pubblicazione ‘La rivoluzione incompiuta, manifesto per una tecnologia antropocentrica’, lucida analisi che, venti anni fa, presagiva un mutamento generazionale e profondo nell’ambito della tecnologia, definendo la tensione verso una rivoluzione informatica capace di traslare la centralità della macchina verso un necessario antropocentrismo. 

Dal 2001 e dal pensiero di Dertouzos il tempo è informaticamente trascorso in maniera inimmaginabile, portando ad una rivoluzione che, per quanto si possa dire ancora incompiuta, ha certamente trasformato il nostro quotidiano e la comprensione intera del mondo. Se è vero che non ci muoviamo con navicelle supersoniche, non abbiamo conquistato altri pianeti ed il teletrasporto non è ancora la soluzione per colmare le distanze, possiamo certamente affermare che tra quanto previsto dalla fantascienza e quanto portato avanti dalla tecnologia, senza dubbio, sono stati compiuti passi da giganti. Passi che, talvolta, hanno simiglianza con le retrovie dell’inatteso, che s’avvicinano a qualcosa che, in prospettiva, forse più che dalle nostre umane facoltà, sono state comprese ed anticipate dalle dinamiche dell’Arte. 

Jaumann, nella sua ricerca di interrelazioni tra la giurisprudenza ed altri ambiti del vivere umano, focalizza la propria indagine su quanto accaduto lo scorso gennaio al fotografo Fabio Ricciardiello, artista legato allo Studio e alla brand identity di Jaumann

Insieme con lui scopriremo che un progetto artistico e fotografico può nascere attraverso una interazione errata con la macchina e come ciò attiene alla quaestio del diritto d’autore e non solo. 

Compiamo un percorso a ritroso ritrovando le parole di Fabio Ricciardiello

‘Gennaio 2021, ancora brillo dai nuovi propositi per il nuovo anno, l’hard disk dove archiviavo tutto il mio lavoro ha deciso di lasciarmi, portando con sé anni di lavori. In quell’ hard disk c’era anche uno dei miei ultimi lavori intitolato ‘ERA DE MAGGIO’, lavoro composto da 70 scatti fotografici che avevo ideato ed esposto nel 2020, come video sequenza, nella mia personale LIFE VEST UNDER YOUR SEAT (capitolo secondo) tenutasi a Milano in ottobre. Armato di un software per recuperare i file persi, sono riuscito a recuperare gran parte del materiale, tranne le 70 foto che avevo scattato per il progetto sopra citato. In realtà ho recuperato le foto ma nel recuperarle, il software o il computer stesso, le hanno modificate caricandole di colori acidi e scomponendo le immagini come per un collage. Il mio lavoro era completamente cambiato e non era né meglio né peggio. Semplicemente diverso.’

Le domande chiave, ora, sono:

Chi è il creatore di questi files? L’artista o il computer?

Chi è proprietario di questi files modificati? L’artista o la macchina? 

Sono files modificati o sono ancora opere d’arte fotografica? 

Fabio Ricciardiello in quanto artista e fotografo, ha risposto in maniera proattiva e pragmatica ad una dinamica messa in atto da un processo di errore. L’errore, in questo caso particolare, assume una valenza del tutto peculiare ma anche centrale nell’intero svolgimento dell’accaduto. L’artista, di fatto, ha esautorato l’azione della macchina? O ha annullato l’azione dell’errore? Ha sostituito qualcosa di intenzionalmente creato mesi prima con qualcosa di inaspettato e non desiderato? 

Abbiamo posto a Ricciardiello alcuni quesiti in merito, quasi si trattasse di una piccola indagine, volta a comprendere quanto la tecnologia determini uno scompaginamento del nostro volere. È forse la fine del libero arbitrio?

Come è nato il progetto INTELLECTUAL PROPERTY?

Il progetto ‘Intellectual Property’ è nato da una tragedia informatica. L’hard disk che utilizzavo per archiviare i miei lavori è praticamente morto, senza dare alcun preavviso. Non avendo fatto un back up alternativo, ho dovuto acquistare un programma per recuperare quanto era archiviato. Sono riuscito a recuperare quasi tutto: infatti, le immagini che avevo scattato per un progetto intitolato ‘Era De Maggio’, settanta immagini in sequenza, scattate nell’arco di un mese che sono poi state montate in un video, sono riapparse completamente stravolte.

Il risultato dei files, danneggiati e stravolti rispetto alle attese per un errore della macchina,  in che maniera hanno colpito

 la tua volontà creativa?

Sono rimasto colpito dalla struttura compositiva delle immagini. Il modo in cui i colori si erano fatti carichi, quasi acidi rispetto ai toni tenui che avevo scelto e come l’immagine, nello scomporsi ha trovato una nuova identità.

In che modo il risultato ha stravolto il progetto inizialmente ideato per quel portfolio di scatti?

In realtà lo stravolgimento del progetto iniziale non c’è stato. Come dicevo, quelle foto sono state scattate per un progetto poi diventato un video, presentato nell’ottobre del 2020 in occasione della mia personale milanese LIFE VEST UNDER YOUR SEAT (capitolo secondo). Quello che è accaduto ha fatto si che le immagini, che prima avevano una vita solo legate a quella precedente e 

a quella successiva, acquisissero uno spessore anche come singolo fotogramma.

L’arrivo dell’ignoto, dunque, l’inabissamento nelle oscure trame della tecnologia in una interazione di inaudita risposta lascia emergere ciò che lo sguardo dell’Arte e l’alterità del metodo scientifico hanno saputo forse intravvedere prima, cogliendo ciò che era a noi invisibile. ‘Adottare tali sguardi – afferma Elena Giulia Rossi, studiosa di arti multimediali[1] – può significare cambiare il modo di vedere e raccontare una delle tante storie possibili.’  In tal modo, quanto accaduto agli scatti digitali del fu progetto ‘Era de Maggio’ di Fabio Ricciardiello, rimanda anche al concetto di ‘iperoggetto’ teorizzato da Timothy Morton afferente ai buchi neri o a tutti quegli elementi relazionabili ad altre entità, direttamente costruiti dagli esseri umani oppure no. 

Perché le foto, ormai trasformate rispetto alle originali per una mutazione operata dall’errore della macchina, 

hai deciso di non cestinarle e, piuttosto, di generare un nuovo contenuto di matrice concettuale?

Faccio un confronto forse un po’ azzardato nello svolgimento del ragionamento. 

Ho sempre amato il Ready-made, l’idea di scegliere un oggetto comune e attribuirgli un nuovo significato, elevandolo ad opera d’arte. Nel mio lavoro da scultore lo faccio spesso, inserendo o intervenendo su oggetti già esistenti, 

amalgamandoli a “pezzi” creati da me. In qualche modo ho fatto la stessa operazione nel momento in cui ho visto quelle foto trasformate in files, decidendo divenissero nuovamente foto, intervenendo sull’immagine 

con la post produzione. Manca l’oggetto di uso comune, non ho scelto un orinatoio, 

uno scola bottiglie o la ruota di una bicicletta ma “un errore” e ho fatto in modo di trovarmi qui a discuterne, 

come per un’opera.

Scoperto l’errore hai fatto in modo di recuperare gli  ‘originali’  oppure hai subito visto in quello sbaglio

 del computer una possibilità sorprendente per la tua progettualità autoriale?

No, non ho cercato di recuperare i files originali. Ho colto nell’immediato la potenza delle immagini e ho pensato

che quel trattamento rendesse unico ogni singolo scatto svincolandolo dalla sua funzione seriale.

Le parole di Fabio Ricciardiello rimandano, pertanto, ad un potere trasformativo che ha avuto la capacità di gemmare qualcosa di trasfigurato, frutto di ciò che contrappone problematiche e riflessioni riguardanti le scelte, i significati attribuiti e molto altro. È forse necessario imparare a guardare di nuovo? I nostri sensi sono come anestetizzati dalla quantità incredibile di dati ed informazioni che ricevono, sia di matrice artistica che tecnologica, al punto che, privati della giusta attenzione, rischiamo talvolta di confondere le due epifanie, sovrapporle o mescolarne il valore ontologico e filologico intrinseco, quando presente. È in quello spazio paradossale che Dorlfes chiamava ‘intervallo perduto’ che insiste sull’esigenza di indagare  sugli spazi di vuoto apparente, congiunzione tra mondi che appaiono profondamente discostati. 

Il caso come generatore di caos è affidabile ad una traiettoria filosofica o informatica?

Ho imparato, negli anni, che il caso non esiste. Questo progetto non è nato dal caso ma da una serie di miei azioni “sbagliate”. 

Se avessi fatto un back up del materiale su un’altra piattaforma o supporto, oggi INTELLECTUAL PROPERTY, come progetto, 

non esiterebbe perché non avrei cercato di recuperare il materiale archiviato. Le mie azioni hanno permesso che qualcosa accadesse ed è anche per questo che non ho dubbi sulla paternità di questo progetto. 

L’errore è il mio ed è mio anche quello che l’errore genera. “chi rompe paga e i cocci sono suoi”.

Il titolo emblematico del progetto INTELLECTUAL PROPERTY nasce come provocazione 

o come affermazione di uno stato di diritto?

Da un po’ di anni collaboro con lo Studio Jaumann per la realizzazione di progetti che sono diventati calendari e pubblicazioni. 

Lo Studio Jaumann tratta e difende la proprietà intellettuale e, nel tempo, mi sono trovato spesso a discutere con Leonardo Jaumann, proprietario dello studio, sull’effettiva proprietà di diverse opere nate in maniera inusuale. Ho chiamato questo progetto INTELLECTUAL PROPERTY sia come provocazione che come affermazione di uno stato di diritto perché è vero che i files sono stati modificati da una macchina ma sono stato io a non cestinarli e a decidere che quell’errore divenisse altro e 

l’ho fatto perché ho riconosciuto in quelle immagini la mia poetica narrativa.

In quanto artista quanto ti senti ‘autore’ delle fotografie afferenti a quel portfolio ora in tuo possesso?

Non ho alcun dubbio sulla mia paternità del progetto INTELLECTUAL PROPERTY. Quando si sperimentava con la fotografia analogica in fase di stampa, si era certi di cosa si volesse ottenere ma non si sapeva fino a che punto gli acidi o la luce avrebbero operato.  Quando il progetto ‘Era De Maggio’ ha trovato compimento in un video, ero alla ricerca di qualcosa che svincolasse, 

che slegasse i fotogrammi l’uno dall’altro e questo tipo di intervento mi ha facilitato il compito ma è quello che stavo cercando. 

La macchina si è trasformata nella mia camera oscura.

Per uscire dalla filosofia dell’oggetto si fa necessario entrare in simbiosi con l’oggetto medesimo, suggerisce ancora Elena Giulia Rossi, al fine di ritrovare una consapevolezza della pratica artistica come rinnovata acquisizione dell’arte, intesa quale funzione e non più o non soltanto come imitazione del reale, né come imitazione del Bello. Secondo tale prospettiva, il lavoro di concertazione non voluta ma accettata tra Fabio Ricciardiello e il suo computer hanno dato vita ad una transdisciplinarietà eziologica e sistemica che ha come focus la trasformazione di dati e la generazione di un codex alternativo e ricodificato dall’artista come concettualmente ed esteticamente valido, seppur originato da un errore.

È dunque, INTELLECTUAL PROPERTY, un progetto annoverabile tra le opere d’arte di Fabio Ricciardiello

La questione è spinosa, tuttavia, permette a noi di porre una essenziale premessa che ha una base semantica. Se è vero che il lemma latino ars traduceva il greco τέχνη, téchne, ossia quelle abilità manuali e mentali interdisciplinari che riunivano sotto un’unica egida geografia, arte bellica, navigazione, matematica e medicina ecco che, oggi, il valore attribuito all’arte quale ambito della mera creazione estetica appare riduttivo e necessita, invece, di riavvalersi della natura ibrida e commista che aveva all’origine della nostra cultura. È allo stesso modo che il nostro pensiero corre alla teoria di Walter Benjamin e alle possibilità messe in campo dalla riproducibilità tecnica – e tecnologica – di un oggetto o soggetto come conseguenza del missaggio tra arte e vita. Ciò che INTELLECTUAL PROPERTY di Ricciardiello lascia intravvedere sono una transizione ed una formalizzazione algoritmica che, sebbene abbiano radici nel secondo ‘900, oggi tornano in auge in quanto hanno intrapreso la strada dello scambio – pubblico – connettivo tra media, svelandone anche alcuni limiti e non solo meraviglie esaustive affidate alla macchina. D’un tratto, immaginazione e metodo tecnologico si sono trovati ad rivestire il ruolo attoriale di strumentazioni fondamentali per la costruzione di nuova conoscenza posta al limite di tale sconfinamento. 

Anche Fabio Ricciardiello ha solcato tale linea, interagendo ex ante ed ex post insieme con la macchina, in una duplice influenza tra linguaggio, comunicazione ed archivio. Già, poiché il concetto, o meglio lo spazio analogico e digitale dell’archivio ha qui un valore non secondario. Esso, difatti, si è dimostrato luogo (in)visibile ma concreto assolutamente fondante per la creazione di una – nuova – realtà progettuale. Lo spazio dell’archivio e quello subito fuori da esso ha permesso all’artista stesso di osservare il proprio lavoro – dato per certo, assodato e finito mesi prima – come una nuova entità, parte di un flusso inusitato ma in grado di uscire dall’alveo precedentemente strutturato per decostruirsi e ricostruirsi altrove, in modo del tutto sorprendente e dotato di quella meraviglia dello straordinario. 

Per noi, tuttavia, è ora necessario tornare a ragionare in termini di interazione tra il progetto di Fabio Ricciardiello e gli aspetti che si legano al Diritto d’Autore

Enciclopedicamente, per Intelligenza Artificiale si intende quella disciplina che studia le modalità secondo le quali si possono riprodurre i processi mentali più complessi tramite l’uso di un computer. Ragion per cui, l’AI potrebbe essere intesa come la capacità intrinseca della macchina – e quindi dell’interazione strutturale di hardware e software – di svolgere compiti caratterizzanti la mente e le abilità umane. Parte di questa AI si è sviluppata nel mondo dell’arte – e noti sono i risultati dello scorso mese in asta da Christie’s della vendita record di un’opera consistente in un file jpeg digitale, ‘The first 5000 days’ di Beeple, venduta con il metodo dei NFT, token non fungibili, segnando un record nelle aste di arte digitale e nel mondo blockchain – in cui l’intervento umano si limita semplicemente alla programmazione del software o alla interazione tra sistemi antagonisti e algoritmi che operano in contrapposizione, sempre e comunque ideati da artisti e tecnologi.

Ma come si pone la giurisprudenza in questo ambito che, apparentemente, è nuovo e forse trova la legislazione impreparata? Operando le distinzioni tra diritto d’autore, proprietà intellettuale, diritto d’interesse e sfruttamento economico. La faccenda, ovviamente, si complica, per un paradosso di principio, andando contro la volontà della tecnologia di semplificare l’azione e la vita umane. 

L’art. 6 della Legge sul diritto d’autore (Legge 22 aprile 1941, n. 633) stabilisce quanto segue: “Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”, e dunque, il diritto morale d’autore si acquisisce tramite il processo di realizzazione, nonché la creazione dell’opera originale. Di fronte ad una opera ‘tradizionale’ per così dire, non avremmo dubbio alcuno ad attribuirne la paternità all’artista, ma quando in gioco entra un entità digitale, una macchina, qualcosa cambia e non esiste una normativa precisa in grado di disciplinare, in modo dettagliato, la preminenza del titolo di ‘soggetto giuridico’ cui vanno assegnati i diritti morali dell’opera, ossia quelli che sono identificabili con i diritti di sfruttamento patrimoniale. 

Ciò perché, secondo la Legge Italiana i robot, le macchine, i computer non possono detenere titolo di diritto poiché non posseggono personalità giuridica de iure. Esiste, imperciocché, un vero vuoto legislativo a livello internazionale in un momento, peraltro, assai peculiare, nel quale la net e digital art non sono più solo sperimentazione ma vera e propria realtà commerciale e patrimoniale, entrata di fatto a far parte di un collezionismo che chiede delle garanzie e che anche le grandi case d’asta internazionali hanno ufficializzato. In Italia ed in Europa tale vuoto abbisogna di un adeguato aggiornamento mentre, ad oggi, esistono solo quelli che possono essere definiti degli orientamenti normativi e che si esprimono secondo una duplice linea guida rispetto alla titolarità di un’opera realizzata dall’AI. 

Il primo orientamento riguarda il libero utilizzo da parte di chiunque dell’opera realizzata da una macchina, poiché assente un vero e proprio titolare giuridico del diritto d’autore. 

Il secondo orientamento rimanda la titolarità dell’opera in capo all’ideatore del software, assegnando pertanto la titolarità in capo al soggetto imprenditoriale che ha fornito alla macchina gli input necessari per la realizzazione dell’opera in oggetto.

Immediatamente ci si renderà conto dei limiti enormi che tali orientamenti recano con essi. Nel 2019, poi, la Commissione Europea ha definito alcuni parametri per una Intelligenza Artificiale etica, affidabile e sostenibile, senza però pronunciarsi sulle norme del diritto d’autore applicabili all’universo della robotica, nonostante il Parlamento Europeo avesse invitato la Commissione, già nel 2017, ad elaborare una risoluzione inerente alla responsabilità giuridica delle macchine dotate di intelligenza artificiale – in quel caso in merito ad eventuali danni causati dalla macchine stesse – Si evince quanto i tempi siano maturi per disciplinare e risolvere la quaestio di una nuova realtà giuridica e le forme per la sua protezione, poiché l’intera giurisprudenza autoriale ha sempre posto al centro del proprio ragionamento l’azione umana quale fonte del processo creativo originale di un’opera artistica, mentre, in parte o del tutto, nel caso di soggettività dell’AI, l’uomo perde de facto il ruolo principe d’azione. Esiste, dunque, un tempo che non è più rinviabile e concerne la questione etica e sostanziale di tale trasformazione; se da un lato, invero, si propongono affascinanti prospettive, dall’altro si pongono anche serie questioni normative che entrano nel merito persino dell’universo imprenditoriale oltre che in quello artistico.

Ancora una volta, però, l’Arte ha risposto in maniera filosoficamente inoppugnabile. Rileggendo alcuni passi delle risposte offerteci da Fabio Ricciardiello, si giungerà subitamente al fulcro della discussione: ‘Non ho alcun dubbio sulla mia paternità del progetto INTELLECTUAL PROPERTY’ afferma l’artista ‘Ho chiamato questo progetto INTELLECTUAL PROPERTY sia come provocazione che come affermazione di uno stato di diritto perché è vero che i files sono stati modificati da una macchina ma sono stato io a non cestinarli e a decidere che quell’errore divenisse altro e l’ho fatto perché ho riconosciuto in quelle immagini la mia poetica narrativa.’  

L’errore, perciò, è entrato a far parte del processo maieutico stesso, generando una creazione altrimenti non presa in considerazione ma afferente all’idioma fotografico di Ricciardiello. Ciò perché i files che l’errore della macchina ha generato hanno basato la loro nuova forma su immagini ed opere già create dall’artista. 

C’è ancora una riflessione messa in campo dall’artista in grado di vedere le cose dalla giusta prospettiva: ‘Quando si sperimentava con la fotografia analogica in fase di stampa, si era certi di cosa si volesse ottenere ma non si sapeva fino a che punto gli acidi o la luce avrebbero operato.  […] La macchina si è trasformata nella mia camera oscura.’

Dunque, non siamo di fronte ad una novità inaudita? No. 

Perché il processo trasformativo che mette in interazione idea|progettazione|formalizzazione si è sempre avvalso di strumenti e media che hanno reso tangibile l’idea di un artista. Più probabilmente, la riflessione andrà virata verso un altro tema, quello sviluppato da Marshall McLuhan teorizzato secondo famigerato claim ‘Il medium è il messaggio’ e che, nel caso odierno, si avvale di ulteriori sovrastrutture. Accanto a quelle di ‘semplice’ matrice ontologica e culturale, l’AI pone il pubblico, l’artista, il collezionista, il legislatore, le aziende produttrici, in una posizione irrisolta di fronte ad una questione: quella economica. Non sarà che oggi la paura che modellare l’intera faccenda si radica nel solco dell’intenzionalità di sfruttamento da parte delle multinazionali dei diritti di utilizzazione economica? Molti sono stati i casi normativi in cui tra la creazione informatica e la disciplina giurisprudenziale è occorso un tempo molto lungo per valutazione e gestione – si pensi ai nomi a dominio – ora però che l’Arte ha smosso acque molto profonde ed in un certo qual modo stagnanti fino a poco fa, ecco farsi necessaria un’azione internazionale che vada a rivedere i termini stessi del diritto d’autore mentre, tuttavia, nel mondo dell’arte stessa sarà da rivedere anche il concetto di intrinsecità dell’opera e stabilire quando un soggetto è tutelabile oppure no. 

Esiste, infine, un altro punto di vista che ci avvicina alla prospettiva offerta, invece, in campo legale, dal concetto di marchio: che ruolo assume il fruitore finale dell’opera e come deve essere anch’egli tutelato? L’origine dell’autenticità di un’opera creata dalla AI deve essere garantita – e qui si entra nel tanto clamoroso universo della crypto art, degli ntf e della tecnologia blockchain che, però, allo stato attuale garantisce solo una certa percentuale di certezza d’unicità all’acquirente – è indubbio.

Se il discorso sembra facilitarsi e portare tutto in direzione di buona conoscenza dei sistemi informatici e delle loro potenzialità, non è così. L’artista, qualunque medium utilizzi, risponde attraverso una poetica ed un valore intellettuale personali che la macchina aiuta ad esprimere, è solo evoluto il sistema, come ben ha spiegato Ricciardiello, da analogico a digitale. Tuttavia, se il progetto INTELLECTUAL PROPERTY vede la piena paternità autoriale di Fabio Ricciardiello, la questione resta complessa per quelle che sono – o meglio saranno – le opere create in maniera del tutto autonoma da una macchina, macchina che, però, all’interno contiene un software ideato da un individuo che ha anche costruito l’hardware secondo conoscenze intellettuali. 

Il tourbillon s’agita e agita la normativa che, però, non ha altra scelta che correre se non ai ripari quanto meno alla costruzione di un nuovo alloggio legislativo. L’Arte e gli artisti sapranno trovare la propria strada ed il valore umano delle idee saprà reggere anche a queste mutazioni. 

Azzurra Immediato

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